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Un sistema fiscale europeo per il XXI secolo

Olimpia Fontana
Commento n. 222 - 11 giugno 2021 


 
 

La Commissione europea ha presentato il nuovo quadro di riferimento per la tassazione delle imprese, in cui definisce un piano d’azione con misure da attuare entro il 2023. L’obiettivo principale è dotare l’Ue di un codice di regole armonizzate con cui tassare il reddito societario in Europa, che fornisca una più equa ripartizione dei diritti di tassazione tra gli Stati membri (abbreviato con BEFIT - Business in Europe: Framework for Income Taxation). Questa misura contribuisce a una riflessione più ampia sul tema della coerenza interna nelle politiche dell’Ue: come ha spiegato il Commissario all’economia Paolo Gentiloni, se da una parte le nostre economie passeranno a un nuovo modello di crescita sostenuto dal Green Deal europeo, dall’altro i sistemi fiscali dovranno adattarsi alle nuove priorità.

Nell’Ue la tassazione è sempre stata un baluardo della sovranità nazionale, cui i paesi membri (alcuni più di altri) non intendono rinunciare. A fronte della creazione di un mercato unico con libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali, l’obiettivo dell’Unione è quello dell’armonizzazione dei regimi fiscali, per eliminare gli effetti distorsivi alla concorrenza che 27 sistemi fiscali diversi possono generare. Tuttavia, alcune tendenze in atto richiedono non solo di promuovere un ravvicinamento delle aliquote e dei sistemi interni, ma anche di ricercare una combinazione più equilibrata nelle entrate tributarie che rispetti i principi di equità sociale e di sostenibilità ambientale.

Innanzitutto, ad avere un impatto sui sistemi fiscali è l’invecchiamento della popolazione. Il restringersi della popolazione in età lavorativa, insieme a un aumento delle forme di lavoro atipiche, andranno a ridurre il contributo che la tassazione sul lavoro ha tradizionalmente dato all’erario. Tale pressione fiscale, spesso elevata nell'Ue, dovrà essere ulteriormente ridotta anche per sostenere la competitività, l'occupazione e la creazione di nuovi posti di lavoro nella fase di ripresa economica.

Secondo, il cambiamento climatico e la crisi pandemica forniscono il pretesto per ricercare nuove basi imponibili. Attraverso le cosiddette tasse pigouviane (da Arthur Cecil Pigou e il suo contributo The Economics of Welfare) si andrebbero a colpire attività economiche e comportamenti che producono esternalità negative per la società. Oltre all’inquinamento legato alle emissioni di CO2, anche il consumo/abuso di tabacco, di alcol e il gioco d’azzardo hanno conseguenze per la salute che ai tempi delle pandemie e dell’invecchiamento della popolazione dovranno essere mitigate per non gravare ulteriormente sui sistemi sanitari.

Terzo, la digitalizzazione dell’economia ha portato a un divario nella creazione di valore tra le imprese che operano nel settore del digitale e quelle di altro tipo. Ciò favorisce imprese come Amazon, i cui profitti sono più che triplicati nel primo trimestre del 2021 grazie all’effetto pandemia sulle attività di vendita online. Inoltre, l’inadeguatezza delle regole fiscali in vigore a livello globale creano fenomeni di evasione ed elusione fiscale da parte delle multinazionali, che in Europa si traducono in perdite di gettito tra i 35 e i 70 miliardi di euro l’anno. L’accordo dei ministri delle finanze del G7 per una minimum global tax di almeno il 15% sui redditi d’impresa è un primo passo importante verso una riforma delle regole su scala internazionale.

Infine, lo sforzo di spesa a cui sono state chiamate le finanze pubbliche nell’ultimo anno ha prodotto nell’Eurozona un aumento del rapporto debito pubblico/Pil dall’85 al 101%, con picchi al 159% e 207% di Italia e Grecia. In questa fase di sospensione temporanea delle regole fiscali il tema della sostenibilità del debito è passato in secondo piano. Il ritorno a regole riformate dovrà essere accompagnato da una riflessione anche sul problema della stabilità del gettito fiscale, tenendo conto dei suddetti fenomeni di invecchiamento, esternalità negative e digitalizzazione.

Il sistema fiscale in Europa richiede quindi cambiamenti in linea con gli sviluppi economici e sociali in atto. In Europa le tasse sul reddito da lavoro, seppur abbiano subito una lieve riduzione negli ultimi dieci anni, pesano ancora fortemente nel finanziare le finanze pubbliche, fornendo un gettito di circa il 50% del totale. Dall’altro lato, le tasse ambientali e quelle sul reddito societario figurano per importi molto bassi, circa il 6 e 7% rispettivamente, del gettito totale. In un mercato così integrato qual è l’Ue è difficile tassare i redditi mobili, come quelli da capitale, senza incorrere in una fuoriuscita dal proprio paese di base imponibile, con il risultato di concentrare il peso della fiscalità sui fattori meno mobili, come il lavoro, soprattutto quello meno qualificato. La concorrenza fiscale al ribasso per accaparrarsi investimenti societari è resa quindi possibile dalla libertà di movimento dei capitali, così come dal fatto che ciascun paese è libero di decidere come e quanto tassarli. L’asimmetria tra mercato unico europeo e capacità fiscale nazionale, unita ai fenomeni sopra descritti, richiede una riforma del sistema fiscale che risponda a motivi di equità sociale, di mantenimento di gettito e di coerenza rispetto alle politiche portate avanti dall’Ue. Questo anche a livello europeo, con i primi cenni di una capacità impositiva.

La pandemia ha accelerato il processo di integrazione dell’Ue attraverso l’introduzione di un debito comune europeo, seppur limitato a finanziare il Next Generation EU (NGEU). Per rimborsare tali titoli di debito serviranno nuove fonti di entrata, al di là dei contributi nazionali. Il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Ue e la Commissione si sono impegnati a collaborare per introdurre nuove risorse proprie entro il 2023, le cui basi imponibili riguardano il settore ambientale, con un prelievo basato sul contenuto di CO2 emesso durante la produzione industriale, sia internamente (attraverso l’Emissions Trading System) sia su beni importati nell’Ue (con il Carbon Border Adjustment Mechanism), e quello societario, con un’imposta che potrà essere specifica per le imprese del digitale, a seconda di quanto emergerà dagli accordi in sede OCSE sulla riforma della tassazione societaria. Il Parlamento europeo ha ricordato che il gettito prodotto delle nuove risorse proprie una volta coperti i costi del nuovo debito europeo stimati tra i 15 e 29 miliardi l’anno, affluirà nel bilancio dell’Ue orientato a sostenere le politiche del Green Deal Europeo – transizione ambientale e digitale.

Riforme fiscali saranno promosse anche attraverso i vari Piani nazionali legati all’esborso del NGEU, che si compone non solo di una parte sugli investimenti ma anche di un capitolo legato alle riforme. La Commissione mette a disposizione un servizio di supporto – Technical Support Instrument – con cui risponderà alle richieste da parte dei paesi di specifiche competenze per attuare riforme di vario tipo, tra cui quella fiscale. È auspicabile che il processo negoziale tra le istituzioni europee e i governi rispetto ai contenuti dei Piani stimoli i paesi verso sistemi fiscali orientati a maggiore equità e sostenibilità. Il carico fiscale dovrà essere rimodulato, con una maggiore incidenza verso determinati settori, in particolare per quelle imprese che finora hanno contribuito meno, a causa delle carenze normative in tema di tassazione o di tutela ambientale.

*Olimpia Fontana è Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo (pubblicato ieri da Europea, la piattaforma dei think tank su Euractiv.it)

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