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Il Rapporto Werner, cinquant’anni fa: il primo passo verso la moneta europea

Alberto Majocchi
Commento n. 193 - 8 ottobre 2020 

   

Cinquant’anni fa, l’8 ottobre 1970, viene reso pubblico il “Rapporto al Consiglio e alla Commissione sulla realizzazione per fasi dell’Unione economica e monetaria nella Comunità”, ovvero il “Rapporto Werner”, dal nome di Pierre Werner, allora primo ministro e ministro delle finanze del Lussemburgo, che presiede il gruppo incaricato di redigerlo. Si tratta di un progetto ambizioso che segue le decisioni assunte dai sei paesi membri della Comunità Economica Europea nel Vertice dei Capi di Stato e di Governo a L’Aja il 1-2 dicembre 1969, fissando l’obiettivo del completamento dell’Unione economica e monetaria entro il 31 dicembre 1980. Questo obiettivo viene poi ribadito nel Vertice di Parigi del 19-20 ottobre 1972. Ma, nell’ottobre 1973, scoppia il quarto conflitto arabo-israeliano: una volta terminato il conflitto, per “punire” l’Occidente, i paesi dell’OPEC aumentano del 70% il prezzo del greggio; contro gli USA impongono addirittura il blocco delle esportazioni. Con queste drastiche misure il prezzo della benzina aumenta del 400%, aggravando una crisi economica già in atto in Occidente.

Il progetto di avviare un processo destinato a portare, per fasi successive, a una moneta unica viene drammaticamente interrotto. Per la sua introduzione sarà necessario attendere la firma del Trattato di Maastricht, il 7 febbraio 1992, che prevede un programma in tre fasi: nella prima, si mira alla liberalizzazione dei movimenti di capitali fra gli Stati membri dal 1° gennaio 1990; a questa fase seguirà (dal 1° gennaio 1994) la realizzazione della convergenza fra le politiche economiche nazionali e il rafforzamento della cooperazione fra le banche centrali nazionali. Infine, dal 1° gennaio 1999, si arriverà all’introduzione dell’euro e all’avvio di una politica monetaria unica. In questa prospettiva, il Trattato istituisce la Banca centrale europea (BCE) e il Sistema europeo di banche centrali, precisandone le finalità: in particolare, obiettivo primario della BCE è il mantenimento della stabilità dei prezzi per salvaguardare il valore dell’euro.

Il piano Werner rappresenta tuttavia una tappa importante lungo la strada della moneta unica in quanto sottolinea l’importanza di un’armonizzazione nella gestione delle politiche di bilancio al fine di conseguire, in parallelo all’equilibrio della bilancia dei pagamenti, anche gli obiettivi interni di stabilità e di sviluppo dell’economia europea. In realtà, l’armonizzazione delle politiche di bilancio delineata nel piano avrebbe sottratto agli Stati membri uno strumento di controllo del sistema economico, senza però prevedere parallelamente la creazione di un bilancio comune. Da questo punto di vista, il metodo gradualistico di cui il piano Werner è espressione, rappresenta una posizione meno avanzata rispetto alle conclusioni che verranno raggiunte nel successivo Rapporto MacDougall dell’aprile 1977.

Il rapporto MacDougall parte infatti da un’analisi del ruolo che riveste, all’epoca, la finanza pubblica nei contesti nazionali, sia negli Stati federali all’interno della Comunità sia nei tre Stati membri unitari, paragonandolo successivamente al peso del bilancio nell’ambito delle Comunità europee. Rilevando che al momento della pubblicazione del documento la spesa pubblica delle istituzioni comunitarie è pari a circa lo 0,7% del Pil della Comunità, il rapporto individua tre distinti livelli di integrazione economica:
- la fase dell’integrazione pre-federale, in cui la spesa pubblica può crescere fino al 2,0%-2.5% del Pil;
- una fase federale in cui i compiti della Comunità si allargano e rendono possibile il raggiungimento di obiettivi di stabilità e di crescita economica, in cui la spesa pubblica raggiunge un livello pari al 5%-7%;
- una fase federale in cui i compiti della Comunità si allargano ulteriormente, in quanto rientrano nel quadro delle competenze federali la politica del benessere e la difesa, e le dimensioni del bilancio possono ampliarsi fino al 20-25% del Pil.

Nella prospettiva del Rapporto MacDougall la politica monetaria deve essere affiancata da un ruolo attivo della politica fiscale, al fine di compensare il venir meno dello strumento della manovra dei tassi di interesse e del tasso di cambio. Rispetto alle proposte contenute in questo Rapporto, l’approccio adottato da Werner risulta molto più restrittivo, e si limita ad affermare che “lo sviluppo dell’unificazione monetaria deve essere articolato su progressi sostanziali nella convergenza e nell’unificazione delle politiche economiche”. Ma aggiunge anche che, “parallelamente ad una limitazione dell’autonomia degli Stati membri in materia di politica economica, occorrerà sviluppare a livello comunitario delle competenze”. E giunge così a una conclusione importante, in quanto prevede la costituzione di un centro di decisione per la politica economica e di un sistema comunitario delle banche centrali, ossia il trasferimento a livello sovranazionale di poteri attribuiti ai governi nazionali.

Questa fase finale dovrebbe essere raggiunta al termine di un processo graduale e, in effetti, il Rapporto Werner “non desidera assolutamente suggerire che l’unione economica e monetaria sia realizzabile senza un periodo di transizione; essa deve, al contrario, svilupparsi in maniera progressiva sulla traccia delle azioni già intraprese per rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e la cooperazione monetaria”.

Anche per quanto riguarda gli obiettivi da conseguire attraverso la politica di bilancio, la posizione del piano Werner appare più prudente rispetto alle misure proposte nel Rapporto McDougall: non si ritiene necessario aumentare le dimensioni del bilancio comunitario, ma si prevede unicamente un’armonizzazione della gestione della politica fiscale fra i diversi paesi membri. Occorre tuttavia sottolineare come le indicazioni avanzate in questo piano verranno poi riprese negli articoli del Trattato di Maastricht che prevedono un percorso per tappe per arrivare alla moneta unica e condizionano il passaggio alla fase della moneta unica al rispetto di vincoli prefissati di politica fiscale, per quanto riguarda le dimensioni del deficit e dell’ammontare di debito.

Oggi l’Unione monetaria è arrivata a un punto di svolta: per far fronte alla crisi del Covid-19, le decisioni del Consiglio europeo del 21 luglio scorso prevedono la possibilità di ricorrere a fondi raccolti sul mercato per finanziare il Next Generation EU e, per coprire il servizio del debito, un aumento pari allo 0,6% delle dimensioni delle risorse proprie. Si tratta di un passo avanti importante verso il completamento di un’Unione fiscale, che consentirà finalmente di costituire il secondo pilastro di un’Unione economica e monetaria. Anche la consapevolezza del lungo percorso compiuto, in un cammino iniziato giusto cinquant’anni fa, ci deve spronare al passo finale: completare l’assetto federale dell’Unione, con il superamento del voto all’unanimità per quanto riguarda la politica fiscale e con l’avvio di una politica comune nel settore della politica estera e della difesa.

*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia e Vice Presidente del Centro Studi sul Federalismo

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