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Il sistema energetico europeo e il ruolo dell’idrogeno

Roberto Palea
Commento n. 191 - 29 settembre 2020 

   

Fin dal suo insediamento, la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen ha mostrato la sua ferma intenzione di proiettare l’Europa nel mondo di domani, accelerando il passo per trasformare l’Europa (tramite lo European Green Deal e poi il Next Generation EU) nel primo continente a impatto climatico zero, entro il 2050. Come ha dichiarato la Presidente nel suo recente Discorso sullo stato dell’Unione, quella “missione” deve diventare il “fulcro” del Green Deal, anche perché, nonostante il lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19, la temperatura media del Pianeta continua ad aumentare pericolosamente.

Per far fronte al contesto mondiale sfavorevole, la Commissione ha ritenuto necessario aumentare al 55% (dal 40%) l’obiettivo di riduzione delle emissioni nell’atmosfera entro il 2030, sostenuta, in tale decisione, da un folto gruppo di imprenditori e di investitori. Lo sforzo proposto è molto impegnativo e non potrà essere rispettato se non verranno utilizzate tutte le risorse e le tecnologie disponibili, tra le quali quelle per la produzione e l’utilizzo dell’idrogeno prodotto tramite le energie rinnovabili.

Il Vice-presidente della Commissione Franz Timmermans, cui fa capo il Green Deal, ha dichiarato che “La nuova strategia per l'idrogeno può fungere da volano di crescita per aiutare a superare le ricadute economiche della Covid‑19”. L’idrogeno, la cui produzione – tramite energie rinnovabili – e utilizzo non danno luogo a immissione nell’atmosfera di gas ad effetto serra, è necessario per alimentare lo stoccaggio ed i sistemi di accumulo delle energie rinnovabili (intermittenti, per loro natura), per favorire la mobilità elettrica, tramite le celle a combustibile (fuel cell), per riconvertire il patrimonio immobiliare esistente, per far viaggiare gli aerei, le navi ed i camion e nei processi di decarbonizzazione di particolari impianti industriali (es. produzione di acciaio) molto energivori.

La Commissione l’8 luglio scorso ha diffuso la Comunicazione “Una strategia per l'idrogeno per un'Europa climaticamente neutra”, che indica obiettivi ambiziosi per la produzione di idrogeno, mediante impianti di elettrolisi da rinnovabili. Nel Piano contenuto nel documento si propone quale obiettivo per l’Ue di realizzare, entro il 2030, impianti per ben 40.000 MW di energia elettrica, da fonti rinnovabili. Per segnare l’urgenza di un cambio di passo, ha fissato anche un target intermedio al 2024 di 6.000 MW, in grado di produrre fino a un milione di tonnellate di idrogeno da fonti rinnovabili: un salto enorme, considerando che, al momento, nel mondo sono disponibili soltanto 250 MW di energie rinnovabili, disponibili per gli elettrolizzatori.

Nel documento si ipotizza che, nel 2050, circa un quarto dell’elettricità rinnovabile sarà dedicata alla produzione di idrogeno da fonti rinnovabili. Uno sforzo che dovrebbe accelerare la competitività dell’idrogeno da rinnovabili, il cui costo di produzione è calato del 50% dal 2015 e potrebbe ridursi ulteriormente di un altro 30%, di modo che l’idrogeno “verde” diventerebbe competitivo rispetto a quello prodotto mediante fonti fossili.

Poiché la quantità di elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili solo sul suolo europeo non potrebbe raggiungere i livelli richiesti, diventa inoltre essenziale stimolare e organizzare la produzione di energie rinnovabili nei Paesi africani per trasportare, poi, l’idrogeno prodotto in tali Paesi sul territorio europeo. Ciò spiega come la SNAM ipotizzi la produzione di idrogeno nei paesi della costa sud del Mediterraneo, attribuendo all’Italia un ruolo di “hub” europeo, sfruttando le interconnessioni con le varie reti. Secondo l’Amministratore di SNAM, Marco Alverà, il 70% dei gasdotti italiani è già nelle condizioni di trasportare idrogeno tra le due sponde del Mediterraneo.

Nell’ambito di Next Generation EU la Commissione identifica l’idrogeno come una opportunità unica per ricerca e innovazione, leadership tecnologica, sviluppo economico e occupazione e, infine, per partnership da sviluppare con i Paesi dell’Unione Africana. Ma la stessa convinzione appartiene pure alla Germania, che ha annunciato un Piano nazionale di investimenti nell’idrogeno di 9 miliardi di euro, con lo scopo di produrre impianti di elettrolisi di 5.000 MW entro il 2030. Dopo l’annuncio della Germania, anche la Francia ha lanciato un Piano nazionale dell’idrogeno per 7 miliardi di euro. Di fronte a tali programmi non è mancato l’interesse degli imprenditori i quali, assieme alla Commissione, nel mese di marzo, hanno costituito la “European Clean Hydrogen Alliance”.

Osservando tutto l’interesse che si è creato in Europa per l’idrogeno vengono in mente le argomentazioni un po’ visionarie, ma anticipatrici, di Jeremy Rifkin nella sua opera Economia all’idrogeno, del 2002, che si concludeva con questa considerazione: “Sono rari, nella storia, i momenti in cui una generazione di uomini ha a disposizione un nuovo strumento grazie al quale riorganizzare le relazioni reciproche e le strutture in cui si realizzano. Ci è stata donata l’energia del sole. L’idrogeno è una promessa per il futuro dell’umanità sulla terra. Dipenderà da noi se questa promessa verrà sprecata da avventure fallimentari e opportunità perdute oppure saggiamente utilizzata a vantaggio dell’umanità”.

Ci voleva lo shock dell’emergenza pandemica da Covid-19 per spingere l’Europa verso il sogno razionale di Rifkin, con la volontà di realizzarlo almeno nel nostro Continente.

*Già Presidente del Centro Studi sul Federalismo, membro dell’Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse naturali (AIEAR)

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