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Mario Draghi e la capacità fiscale dell'Unione

Alberto Majocchi
Commento n. 158 - 5 novembre 2019    

 

 

È ormai largamente condivisa l’idea che, se si vuole avviare l’Europa verso un sentiero di sviluppo sostenibile, occorra procedere con la fissazione di un prezzo del carbonio, che potrebbe consentire sia di promuovere la diffusione a livello globale di una scelta a favore della limitazione del consumo di combustibili fossili sia di creare le condizioni per le riforme necessarie per l’attribuzione di un’autonoma capacità fiscale all’Unione.

Questo progetto, che può apparire importante, ma destinato unicamente a gestire il problema di limitare le emissioni di anidride carbonica, può produrre in realtà effetti di grande rilievo se diventa il primo passo di un processo che deve portare alla realizzazione di un disegno storico di riconquista dell’autonomia del continente, con la fondazione della federazione europea. In questo contesto, è particolarmente rilevante il Memorandum del 3 maggio 1950 presentato da Jean Monnet al governo francese in vista della costruzione della CECA. Monnet definisce così la sua strategia: “dall’impasse [nei rapporti franco-tedeschi sul problema del carbone e dell’acciaio] si può uscire in un solo modo: con una azione concreta e risoluta su di un punto limitato, ma decisivo, che provochi un cambiamento fondamentale su questo punto e modifichi progressivamente i termini dell’insieme dei problemi”. E aggiunge: “è necessaria un’azione profonda, reale, rapida e drammatica che cambi le cose e faccia entrare nella realtà le speranze di un’evoluzione a cui i popoli stanno per non credere più”.

Questa indicazione è importante per definire oggi una linea strategica che possa portare l’Europa verso il salto istituzionale necessario per conseguire una struttura federale. Come ai tempi di Monnet il problema era la gestione delle risorse del carbone e dell’acciaio, oggi il tema fondamentale per l’Unione europea riguarda la disponibilità di risorse adeguate per finanziare le politiche indispensabili per garantire un futuro di crescita per l’Europa. Si tratta, in primo luogo, di garantire la sicurezza interna ed esterna, in un mondo in cui è venuta meno la garanzia americana per la sicurezza europea; di gestire il problema dei flussi migratori con il finanziamento di un Piano di Sviluppo con l’Africa, gestito in accordo con l’Unione Africana; di garantire le risorse per stabilizzare l’economia europea a fronte di shock generali o asimmetrici che possono colpirla in futuro; di promuovere la ricerca e lo sviluppo tecnologico, anche attraverso la creazione di campioni europei nei settori di punta; di finanziare un Social Green New Deal, che avvii l’Europa verso un sentiero di sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale.

La strategia qui delineata può rappresentare il germe di un contributo per un governo efficace dell’Europa e del mondo. Oggi le condizioni sembrano favorevoli. Il Green Deal rappresenta il fulcro del programma di Ursula von der Leyen; il tema di una politica della difesa e della sicurezza è al centro della preoccupazioni dei governi, a fronte delle devastanti improvvisazioni della politica americana; la questione di nuovi rapporti con l’Africa per gestire in modo nuovo e solidale il problema delle migrazioni, con uno sviluppo sostenibile delle risorse di quel Continente, è più che mai urgente, a fronte dell’andamento drammatico dei flussi migratori e delle condizioni di povertà di molti paesi aggravata dai cambiamenti climatici; la mobilitazione dell’opinione pubblica sul tema dei cambiamenti climatici rappresenta una condizione favorevole per prendere decisioni incisive. Si tratta quindi di individuare lo strumento giusto per affrontare questi problemi, e appare sempre più convincente l’idea che un carbon pricing europeo possa rappresentare il mezzo non soltanto per creare le nuove risorse proprie indispensabili per rafforzare il bilancio dell’Unione, ma anche per avviare l’Unione lungo il sentiero che deve portare, attraverso una profonda riforma istituzionale, prima alla federazione europea e, nel lungo periodo, a un governo multilaterale del mondo che garantisca la pace e uno sviluppo sostenibile, dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

Queste considerazioni sono state sviluppate con forza da Mario Draghi nel suo intervento in occasione del Farewell Event, a Francoforte, per la chiusura del suo mandato di Presidente della BCE. Draghi osserva che “Il cammino verso la capacità di bilancio sarà molto probabilmente lungo. La storia ci insegna che i bilanci raramente sono stati creati per il fine generale di stabilizzare, ma piuttosto per conseguire obiettivi specifici nel pubblico interesse. Negli Stati Uniti è stata la necessità di superare la Grande Depressione a determinare l’espansione del bilancio federale negli anni ’30. Forse, per l’Europa, vi sarà bisogno di una causa pressante come l’attenuazione dei cambiamenti climatici per realizzare questa dimensione collettiva”. E da questa osservazione trae importanti conseguenze in termini politici: “Quale che sia il percorso intrapreso, risulta evidente che ora è tempo di più e non di meno Europa. Non lo intendo come un assioma, ma nella più autentica tradizione del federalismo. Quando i risultati possono essere conseguiti meglio dalle politiche nazionali, lasciamo le cose come sono. Ma quando possiamo rispondere ai legittimi timori dei cittadini solo lavorando insieme, l’Europa deve essere più forte”.

Le riflessioni di Draghi si collocano perfettamente nella scia del pensiero di Jean Monnet e individuano con chiarezza la strada da seguire. La creazione di una capacità fiscale dell’Unione richiede che si debbano affrontare problemi che non possono essere risolti se non attraverso la dotazione di beni pubblici a livello europeo. Il bene in questione è rappresentato dal contrasto ai cambiamenti climatici, e notevoli risorse sono richieste per garantire una transizione ecologica che sia al contempo efficiente e socialmente giusta.

La fissazione di un prezzo per il carbonio, come è stato recentemente affermato anche dal FMI nel Fiscal Monitor dell’ottobre 2019, è lo strumento “più potente e più efficace” per ridurre le emissioni di CO2. Al contempo, il carbon dividend potrà essere utilizzato per avviare una riforma fiscale che sposti il peso dalla tassazione sul consumo di risorse naturali, consentendo altresì una riduzione significativa degli oneri che gravano sulle classi di reddito più basse e misure a favore delle classi e dei territori svantaggiati dalla minore produzione di energia fossile, mentre le nuove risorse assegnate al bilancio europeo consentiranno il finanziamento degli investimenti in infrastrutture e nella ricerca di nuove fonti di energia rinnovabile. Si potrà così finalmente avviare il “secondo braccio” dell’Unione, quello fiscale, accanto all’Unione monetaria, in attesa che il processo che deve portare a un’Unione di natura federale sia completato con l’attribuzione dei poteri in materia di politica della difesa e della sicurezza.

*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, Vice Presidente del Centro Studi sul Federalismo (il suo libro più recente è: European budget and sustainable growth - The role of a carbon tax - Peter Lang)

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