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Sui profili finanziari dell' "Atto secondo" del Regionalismo asimmetrico

Stefano Piperno
Commento n. 145 - 20 marzo 2019   

 

Nelle ultime settimane il processo di attribuzione di competenze differenziate alle Regioni in base al disposto dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, avviato nella scorsa legislatura e previsto nel programma del governo Lega-Movimento Cinque Stelle, ha subito un’accelerazione. Le tre Regioni che avevano avviato il processo nel 2017 (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna) hanno definito prime ipotesi di intese, in sostituzione di quelle siglate nel febbraio del 2018 con il precedente governo, ampliando notevolmente il ventaglio di materie interessate dal trasferimento (una sorta di “Atto secondo” del regionalismo asimmetrico). Altre Regioni hanno avviato la medesima iniziativa e sono in corso le interlocuzioni con il governo. La situazione relativamente alle prime tre Regioni resta però confusa non essendoci ancora i testi ufficiali delle bozze di intesa, che dovrebbero essere vagliate dal Parlamento (senza che sia ancora chiaro se siano emendabili), a fronte di un acceso confronto tra forze politiche e sociali, amministrazioni regionali e locali, e esperti in merito a quanto emerso sinora sui contenuti. Concentriamoci sui profili finanziari delle bozze di intesa, i più delicati rispetto alla possibilità di garantire la permanenza degli strumenti solidaristici interregionali previsti dall’attuale regime.

Il meccanismo finanziario indicato per il finanziamento delle competenze asimmetriche nelle bozze provvisorie relative alle intese con Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna (artt. 5 e 6 della parte generale) si basa sui seguenti assunti:

a) finanziamento iniziale per le funzioni attribuite pari alla spesa storica dello Stato nella Regione interessata;

b) tale finanziamento verrà ricalcolato sulla base di fabbisogni standard determinati da un apposito Comitato Stato-Regioni che il governo si impegna a costituire;

c) nelle more della determinazione e dell’applicazione dei fabbisogni standard e comunque entro tre anni dall’approvazione della legge, l’ammontare di risorse assegnate alla Regione per l’esercizio delle nuove funzioni non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse;

d) tale finanziamento sarà garantito da una compartecipazione al gettito dell’Irpef maturato nel territorio regionale e di eventuali altri tributi erariali, o da aliquote riservate sulla base imponibile dei medesimi tributi riferibile al territorio regionale;

e) ogni variazione di gettito di tali fonti maturato nel territorio regionale rispetto alla spesa storica o a quanto riconosciuto in base ai fabbisogni standard resta di competenza della Regione;

f) possibile compartecipazione al gettito, o aliquote riservate relativamente all’Irpef o a altri tributi erariali, in riferimento al fabbisogno per investimenti pubblici, ovvero anche mediante crediti di imposta con riferimento agli investimenti privati, con risorse da attingersi da fondi finalizzati allo sviluppo infrastrutturale del Paese.

Questo insieme di disposizioni non risulta coerente con quanto prevede l’art. 14 della L. 42/2009 (cosiddetta sul “federalismo fiscale”) e presenta problematiche applicative rispetto alle quali occorrerebbe individuare orientamenti generali, prima di avviare il lavoro delle commissioni paritetiche. Vediamo brevemente perché punto per punto:

a) In via di principio partire dalla spesa storica è un criterio accettabile e già utilizzato in passato. Come valutarla non è però solo una scelta tecnica. Ad esempio, si possono usare dati riferiti a un solo anno o a una media pluriennale, stanziamenti o impegni di spesa. Ugualmente, si potrebbe anche sostenere la necessità di computare costi aggiuntivi connessi ai processi di riorganizzazione connessi al decentramento (come fu fatto all’epoca del secondo decentramento regionale, operato dal D.P.R. 616/77).

b) La previsione di valutare il trasferimento sulla base dei fabbisogni standard rispecchia solo parzialmente le disposizioni della L. 42/2009 e del D.Lgs. 68/2011 in quanto ciò dovrebbe essere fatto esclusivamente per le funzioni che prevedono dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ma che costituiscono solo una parte di quelle previste dalle intese (es.: istruzione e sanità). Inoltre, non si capisce se il Comitato Stato-Regioni previsto sia un nuovo organismo o sia riconducibile all’attuale Commissione per i fabbisogni standard, che ha operato sinora per Comuni e Province (sarebbe forse meglio avere un organismo unico).

c) La previsione di garantire dopo tre anni e in assenza del calcolo dei fabbisogni standard un ammontare di risorse pari almeno al valore medio della spesa pro-capite nazionale in luogo della spesa storica, dati gli attuali livelli di spesa pro-capite statale nelle tre Regioni, si tradurrebbe in un ingiustificato trasferimento di risorse aggiuntive a loro favore. Queste andrebbero sottratte alle altre Regioni, o finanziate con riduzioni di spesa o aumenti di imposte a carico di tutta la collettività. La garanzia per un’applicazione dei fabbisogni standard entro tre anni dovrebbe derivare da un’azione incisiva da parte delle amministrazioni subnazionali più che da una simile “clausola capestro”, che può creare solo conflittualità al loro interno.

d) Le fonti di finanziamento sono individuate in una compartecipazione all’Irpef o a altri tributi erariali, o in aliquote riservate sui medesimi tributi, in coerenza con quanto previsto dalla L. 42/2009. Ma non si fa cenno ai problemi applicativi che possono emergere a seconda delle scelte di finanziamento effettuate: perequazione verticale o orizzontale, incapienza di risorse di compartecipazione, diversi impatti in termini di incidenza, ecc.

e) La garanzia dei gettiti tributari legati alla crescita delle basi imponibili e delle compartecipazioni attribuite alle Regioni dovrà trovare un equilibrio con esigenze di coordinamento della finanza pubblica e di controllo del debito pubblico, che ben difficilmente non si presenteranno in futuro.

f) La previsione di forme di compartecipazione o di aliquote riservate relativamente a Irpef o a altri tributi erariali in relazione ai fabbisogni per investimenti pubblici andrebbe inquadrata all’interno delle politiche di perequazione infrastrutturale previste dall’art. 22 della L. 42/2009.

Siamo di fronte a un’alternativa: o si riavvia il processo attuativo della L. 42/2009, con la specificazione dei LEP e dei relativi costi standard, inclusivi di quelli relativi alle funzioni differenziate, la fiscalizzazione dei trasferimenti statali residui, l’individuazione dei fabbisogni infrastrutturali, la stabilizzazione dei tributi regionali (pensiamo al continuo abbattimento della base imponibile dell’IRAP), o si immagina un modello diverso, comunque non facilmente definibile in tempi brevi. Un documento di orientamenti elaborato all’interno delle due Commissioni bicamerali (sulle questioni regionali e sull’attuazione del federalismo fiscale) che specifichi meglio i contenuti finanziari delle intese chiarendone il quadro generale potrebbe aiutare a costruire una intesa bipartisan, come avvenne per l’approvazione della L. 42/2009. è bene fare chiarezza per evitare una probabile situazione di stallo nell’attuazione del regionalismo differenziato che non farebbe bene alla già incerta salute del regionalismo nel nostro Paese.

*Collaboratore del Centro Studi sul Federalismo

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