Per una manutenzione intelligente del decentramento politico-fiscale
Stefano Piperno
Commento n. 117 - 5 ottobre 2017
Il fallimento del referendum confermativo della riforma costituzionale del Titolo V nel dicembre del 2016 ha dato origine a un processo di rimozione generalizzata dei problemi connessi con il decentramento politico-fiscale avviato con la riforma costituzionale del 2001 e con la successiva legge n.42/09, attuativa dell’art.119 della Costituzione. La grave crisi economico-finanziaria in atto nel Paese a partire dal 2011 ne aveva già pesantemente condizionato la realizzazione, come emergeva nella diagnosi sullo stato e sulle prospettive del federalismo interno presentata nei due documenti del Centro Studi sul Federalismo Italia 2014 e Italia 2016. Oggi ci troviamo ancora di più in una situazione di stallo del modello di decentramento in atto nel nostro Paese che genera incertezza e instabilità nelle relazioni tra livelli di governo, con un peso sempre più crescente delle amministrazioni centrali, in particolare il Ministero dell’economia e, al suo interno, la Ragioneria Generale dello Stato. Negli ultimi anni si sono succeduti provvedimenti contradditori e disorganici rendendo sempre più difficile la gestione quotidiana per gli amministratori e le burocrazie locali.
Ciò si ripercuote sulla capacità di coordinamento delle politiche pubbliche a più livelli, con conseguenze negative per la politica di sviluppo del paese nel suo complesso. Ci troviamo di fronte al rischio concreto di costruire un assetto istituzionale del Paese che assomma i difetti del centralismo e quelli del decentramento senza garantirne i rispettivi vantaggi. Il pericolo maggiore nell’attuale situazione è proprio quello di ricadere in una posizione inerziale (non nuova nella storia della finanza decentrata del nostro Paese), in direzione di una politica di microregolazione locale legata alle contingenze e al di fuori di ogni disegno strutturale. Questo è il rischio in cui incorrono coloro che ritengono ormai fallito il disegno della L. n.42/09 e non vedono la possibilità di riavviare un percorso più coerente senza “ricominciare da zero”.
Vi è invece chi ritiene ancora possibile una "manutenzione intelligente" dell’attuale sistema partendo da alcuni elementi positivi emersi negli ultimi due anni (soprattutto per i Comuni): calcolo dei fabbisogni standard, nuove norme sul pareggio di bilancio e minori limiti per gli investimenti, tentativi di normalizzazione delle scadenze per l’approvazione dei bilanci. Tale manutenzione, da operare all’interno del quadro costituzionale vigente, dovrebbe basarsi su alcuni "pilastri" da ricostituire per una politica di decentramento virtuosa: responsabilizzazione degli enti subnazionali attraverso una effettiva autonomia fiscale, perequazione, un assetto territoriale in cui sia affrontato il problema della eccessiva frammentazione comunale e dei governi di area vasta, nuovi strumenti e procedure di coordinamento tra livelli di governo trasparenti e condivisi, a partire da quelli riferibili al coordinamento della finanza pubblica.
Partiamo dal nesso tra responsabilizzazione e autonomia fiscale. Riprendendo la metafora del 2010 (Ministro Tremonti) potremmo dire che "L’albero della finanza pubblica italiana si sta di nuovo storcendo". Tra il 2011 e il 2016, l’autonomia tributaria dei livelli subnazionali di governo risulta di fatto in rilevante diminuzione. La complessità e la mutevolezza delle norme che si sono succedute in materia non rende agevole l’evidenziazione empirica di questa valutazione, creando una sorta di "illusione fiscale" che occorre rimuovere al fine di individuare delle soluzioni in linea con il principio di responsabilizzazione. Il regime fiscale IMU/Tasi, che qualcuno ha definito un ircocervo fiscale, accoppiato al modello di perequazione fiscale orizzontale tra Comuni, sono alla base di questo esito, che si salda al blocco degli altri tributi e tariffe per il 2016 e 2017 (a parte qualche limitata eccezione). A ciò si aggiunge la graduale sottrazione di risorse tributarie alle regioni che ha reso il sistema di finanziamento regionale un qualcosa di ibrido tra un modello di finanziamento basato su fondi settoriali e uno basato su tributi autonomi e un fondo perequativo generale senza vincoli di destinazione. Sul regime tributario delle Province è poi calato il silenzio dopo che la riforma introdotta con la Legge Delrio è stata messa in discussione dalla bocciatura del referendum costituzionale.
In tema di perequazione, il processo di definizione dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard è sinora andato avanti quasi solo per i Comuni ma presenta ancora lacune e problemi da risolvere. Bisogna evitare che diventi solo uno slogan. Un modello redistributivo improntato a principi condivisi di equità è cruciale nei processi di decentramento come è già stato dimostrato dai fallimenti del passato. Occorre però rendere esplicito il trade off tra uniformità delle prestazioni e autonomia finanziaria raggiungendo un equilibrio che non mortifichi l’autonomia come avviene adesso, specie per i Comuni.
L’attuazione della Legge Delrio sconta gravi ritardi soprattutto per quello che concerne la definizione del ruolo e delle funzioni delle Province, sulle quali adesso pende la spada di Damocle della possibile incostituzionalità dell’attuale sistema di elezione indiretta. Certamente è necessario ripensare il ruolo delle aree intermedie e promuovere ulteriormente i processi di cooperazione intercomunale, in particolare le fusioni tra Comuni.
Infine, rimane aperto il problema rilevante degli strumenti e procedure di coordinamento tra livelli di governo, la cui soluzione è alla base delle esperienze più positive di governance multilivello in Europa (si vedano le numerose ricerche OCSE). In questo caso basterebbe riprendere le conclusioni dell’indagine conoscitiva della Commissione bicamerale sulle questioni regionali sul sistema delle Conferenze rilanciando alcune delle sue ipotesi di riforma. Esso deve diventare una sede condivisa di coordinamento della finanza pubblica in cui definire tempi e modalità della programmazione finanziaria di medio termine (conseguenza ormai del diritto dell’Unione europea e dei Trattati). La prospettiva migliore è quella di una attuazione dell’art.11 della Costituzione all’inizio della prossima legislatura.
Tali pilastri dovrebbero essere costruiti all’interno di una riconsiderazione della questione regionale nel nostro Paese, prendendo anche sul serio il tema del regionalismo asimmetrico ritornato alla ribalta (per adesso a livello prevalentemente mediatico) con i prossimi referendum in Lombardia e in Veneto. Per dirla in breve: occorre ripartire con una visione sistemica del processo di decentramento che tenga conto del ruolo e degli interessi dei principali stakeholder. Si tratta di un’operazione complessa. Purtroppo, l’immagine del federalismo e del decentramento, per lungo tempo tra le priorità nell’agenda politica dei principali partiti (basterebbe riguardare le loro piattaforme politiche per le elezioni del 2008), per molti motivi si è appannata ed è stata sostituita da una pregiudiziale posizione critica sui costi della politica, sugli sprechi e sulla corruzione che hanno visto le amministrazioni locali, in particolare le Regioni e le Province, come bersagli preferiti, come se una politica centralistica fosse l’unica a panacea per tali guasti. A ciò si aggiunge uno stato di conflittualità più o meno latente tra i diversi livelli di governo, soprattutto tra Comuni e Regioni, che facilita il consolidamento delle politiche guidate dal centro. Proprio per questo nelle piattaforme dei partiti per le ormai vicine elezioni politiche dovrebbero essere presi impegni precisi per tale "manutenzione", auspicabilmente con la stessa logica bipartisan che aveva accompagnato l’approvazione della L. 42/09.
Stefano Piperno è un Collaboratore del Centro Studi sul Federalismo