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Lo “Stato dell'Unione 2017”: sulla buona rotta

Flavio Brugnoli
Commento n. 115 - 14 settembre 2017  

 

Fra i meriti che un giorno andranno riconosciuti al Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ci sarà anche quello di avere reso l’annuale “discorso sullo Stato dell'Unione” un appuntamento importante nell'agenda politica europea. Le analisi, la visione e le proposte con cui nell’aula di Strasburgo ieri si è rivolto a quel Parlamento europeo (Pe) che nel luglio 2014 gli votò la fiducia, sono un termometro e una bussola su come sta e dove va l'Unione europea (Ue).

Nel discorso dello scorso anno, pochi mesi dopo il referendum sulla Brexit, Juncker aveva lanciato un messaggio preoccupato, sull’Europa che stava “vivendo, almeno in parte, una crisi esistenziale”. Oggi è palpabile la consapevolezza di aver ritrovato un filo conduttore, forse persino il senso di una missione comune. Grazie anche a un ripresa economica che nell’Unione vede – come sottolineato da Juncker – il quinto anno di crescita, superiore a quella degli Stati Uniti nell’ultimo biennio, e la disoccupazione ai livelli più bassi da nove anni a questa parte.

Juncker ha voluto rimarcare una volta di più la natura “politica” della Commissione da lui presieduta, presentando un programma di lavoro per gli ultimi 16 mesi della legislatura, con una serrata “tabella di marcia” e un impegnativo calendario di priorità (nella “lettera d’intenti” indirizzata al Presidente del Parlamento e alla presidenza semestrale dell’Estonia). Ma soprattutto, proponendo un’ambiziosa visione sull’avvenire dell’Unione, per “costruire un’Europa più unita, più forte e più democratica da qui al 2025”.

Juncker ha evocato cinque priorità programmatiche, che contribuiscono a tracciare il profilo dell’Ue in questa nuova fase, di ripensamento e ridisegno della globalizzazione. Un’Europa aperta al commercio internazionale, su basi di reciprocità, trasparenza e attenta valutazione degli investimenti dall’estero in settori strategici. Un’Europa con un’industria “forte e competitiva”, ma anche leale verso i consumatori. Un’Europa che deve continuare a essere all’avanguardia nella lotta contro i cambiamenti climatici, e all’altezza delle opportunità di sviluppo e delle sfide alla sicurezza che pone l’era del digitale. Ultimo punto prioritario, quello delle migrazioni ­– con l’omaggio reso a “l’Italia [che] salva l’onore dell’Europa nel Mediterraneo” –, su cui la Commissione ha svolto e intende svolgere – anzitutto su rimpatri, solidarietà con l’Africa, apertura di vie d’immigrazione legale – un lavoro fondamentale, consapevole che solo una strategia d’insieme può cercare di rispondere a un fenomeno epocale.

Nel guardare invece al medio termine, Juncker ha ricordato lo sforzo compiuto dalla Commissione europea nel delineare cinque scenari possibili, con il Libro bianco sul futuro dell'Europa, presentato il 1° marzo scorso, "per l'Ue a 27 verso il 2025", e i successivi “documenti di riflessione”. Di fronte al Parlamento europeo, Juncker ha voluto disegnare il suo personale “sesto scenario”, da impostare e da mettere in atto già nei mesi a venire, in vista della prossima legislatura dell’Unione.

Il Presidente della Commissione è stato attento a delineare un percorso ambizioso, già possibile all’interno dei Trattati esistenti, che fissi paletti valoriali ben precisi (a partire da libertà, uguaglianza, Stato di diritto), che incorpori i cambiamenti di scenario che la Brexit porterà con sé, che disegni una prospettiva inclusiva, che affronti la questione della democrazia nei rapporti fra i cittadini e il progetto e le istituzioni europei.

Il nuovo assetto dell’Unione che disegna Juncker sviluppa, di fatto, lo scenario “Fare molto di più insieme” del Libro bianco. Il Presidente della Commissione ricorda che l’euro ha la vocazione a diventare la moneta di tutta l’Ue (tanto da proporre uno strumento di assistenza ad hoc per l’adesione alla moneta unica), che tutti gli Stati membri devono partecipare all’Unione bancaria, che lo spazio Schengen deve essere aperto a tutti quelli che ne rispettano le condizioni, che è necessario definire uno “zoccolo duro” comune di diritti sociali europei. Un’inclusività che vale anche per i paesi dei Balcani occidentali candidati all’adesione, mentre chiude – con sacrosanta nettezza – la porta alla Turchia, denunciandone la repressione interna.

Per rafforzare l’Unione, Juncker invita a rompere il tabù dell’unanimità e a passare al voto a maggioranza qualificata in Consiglio – grazie alle “clausole passerella” del Trattato –, su questioni chiave come fiscalità e politica estera. Sposa l’idea della trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità in un Fondo monetario europeo – su cui la Commissione presenterà proposte a dicembre. Chiede un Ministro europeo dell’economia e delle finanze, identificato nella figura del Commissario europeo all’economia e alle finanze, che sia anche presidente dell’Eurogruppo. Immagina non un bilancio dell’eurozona quanto piuttosto un corposo capitolo del bilancio Ue dedicata all’eurozona (e ai suoi futuri nuovi membri). Ribadisce che il Parlamento dell’eurozona è quello a cui si sta rivolgendo, senza complicare il quadro istituzionale creandone uno ad hoc. Evoca anche (nella “lettera d’intenti”) una politica dell’Ue su energia e clima che contempli, in prospettiva del 2025, un ripensamento del Trattato sull’Euratom.

Sia nell’invito al Consiglio a essere più coraggiosi sul voto a maggioranza qualificata sia in quello a tenere il processo di riforma dell’eurozona e del bilancio dentro il quadro generale dell’Unione si sente l’impatto positivo della Brexit. Col venir meno dei veti e della zavorra del Regno Unito (e già emersa la devastante labirinticità del percorso d’uscita dall’Unione), l’integrazione differenziata rimane un’opzione preziosa, ma non più una dura necessità. Vale anche quando Juncker sottolinea che un’Europa più sicura richiede un maggior sforzo comune nella lotta al terrorismo, o quando indica quale obiettivo il varo, entro il 2025, di un’Unione della difesa.

Juncker chiama l’Unione a compiere anche un vero e proprio “salto democratico”. Presenta nuove proposte per il finanziamento di partiti e fondazioni politiche europei, guarda con favore alle liste transnazionali alle elezioni del Parlamento europeo, sprona a proseguire nell’esperienza democratica degli “Spitzenkandidaten”. E propone – a sorpresa­ – di valutare i possibili benefici di una fusione fra la Presidenza della Commissione e quella del Consiglio europeo, per dare “un solo capitano alla nave europea”, quale “Unione di Stati e di cittadini”.

Per il “primo giorno dopo la Brexit”, il 30 marzo 2019, Juncker invita il Presidente Tusk e la Romania, che avrà allora la guida semestrale del Consiglio, a organizzare un vertice straordinario in cui “prendere le decisioni necessarie per la costruzione di un’Europa più unita, più forte e più democratica”. Ma affinché questo avvenga con il coinvolgimento dei cittadini europei, Juncker sposa la proposta del Presidente Macron di organizzare delle “convenzioni democratiche” in tutta Europa nel corso del 2018, in vista delle elezioni europee nel 2019.

Il Presidente della Commissione non ha mancato né di coraggio né di concretezza. I primi riscontri positivi li potremo forse vedere dopo il voto in Germania, il 24 settembre, e con la presentazione delle dieci proposte per la riforma dell'Ue preannunciate dal Presidente Macron. Spetta ora all’Italia, alle sue istituzioni, alla sue forze politiche, economiche e sociali essere consapevoli dell’importanza del momento, con una presenza incisiva e propositiva nell’agenda e nell’arena europee. La storia non ci perdonerebbe se diventassimo la nuova zavorra dell’Europa.

* Flavio Brugnoli è  il Direttore del Centro Studi sul Federalismo

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