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La Strategia Globale dell'Ue: pensare agli altri per trovare se stessi?

Lorenzo Vai
Commento n. 84 - 6 luglio 2016

 

 

Travolti dai commenti sul risultato del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea (Ue), a molti potrebbe essere sfuggita la presentazione, al Consiglio europeo del 28 giugno, del nuovo documento di indirizzo strategico sulla politica estera dell’Unione: Shared Vision, Common Action: A Stronger Union. A Global Strategy for the European Union’s Foreign and Security Policy (EGS). Della stesura del documento era stata incaricata l’Alto Rappresentante (AR) dell’Ue Federica Mogherini circa un anno fa, con l’obiettivo di sostituire l’ormai invecchiata Strategia europea in materia di sicurezza (ESS), opera del primo AR Javier Solana, e rispondere alle nuove sfide derivanti dalle trasformazioni del contesto internazionale.

In questi anni il sistema internazionale è cambiato diventando sempre più connesso (la globalizzazione va avanti), contestato (l’instabilità ha solo cambiato le proprie forme) e complesso (la multipolarità offre poche certezze interpretative). Ma con esso è cambiata anche l’Ue, nella sua composizione, architettura istituzionale e necessità. Nuovi orientamenti non si rivelano utili solo per il decisore europeo che deve scegliere priorità e modalità di azione, ma altresì per delineare e comunicare il ruolo che si è voluto assumere, sia all’esterno di fronte agli altri attori, sia all’interno di fronte alla propria opinione pubblica.

Si tratta di un esercizio tanto politico quanto esistenziale: ecco spiegata la scelta (sofferta) di Mogherini di non chiudere la strategia – risultato di un lavoro estenuante durato più di un anno e frutto di decine di colloqui con Stati membri, istituzioni Ue, stati terzi, organizzazioni internazionali e ONG – in un cassetto aspettando tempi migliori, ma di proporla comunque all’indomani della Brexit. L’AR ha voluto così dare un segnale di rilancio concreto al processo d’integrazione in uno dei suoi passaggi storici più difficili. Non farlo avrebbe privato la forza ispiratrice della EGS della finestra opportunità aperta dalla rottura britannica che, almeno a parole, alcuni capi di stato e di governo sono parsi desiderosi di sfruttare (in che modo rimanere da capire). Avere una solida base da cui (ri)partire lascia minor spazio ai tentennamenti e alle scusanti.

Le differenze della “dottrina Mogherini” rispetto a quella Solana sono sia di metodo che di contenuto. Al contrario della ESS, la EGS non ha avuto un’approvazione formale (endorsement) da parte del Consiglio che l’ha ricevuta prendendone atto (welcomed). Una scelta che se da un lato minaccia di ridurre la volontà politica offerta dagli Stati, dall’altra ha permesso all’AR una maggior libertà redazionale. Per quanto riguarda i contenuti, l’ipnotica ripetitività del gergo istituzionale dell’Ue potrebbe non far risaltare le aggiunte ed i cambi di direzione. Il primo aspetto tocca la natura stessa della strategia, che si definisce sin dal titolo “globale”, con una duplice valenza: geografica e tematica. Se l’Ue si descrive come un attore globale con un focus regionale (le crisi scoppiate nel vicinato non possono che catalizzare i nostri interessi), la globalità della sua azione aspira a concretizzarsi nella sinergia delle sue politiche. Per assicurare una maggior efficacia in quello sforzo diffuso che è la politica estera, le decisioni intergovernative prese all’interno della Politica estera e di sicurezza comune (PESC) non possono esimersi da un coordinamento costante con le politiche comunitarie con proiezione esterna (come sviluppo e cooperazione). Un obiettivo di coerenza reso oggi possibile dal potenziamento post-Lisbona dell’AR, a cui è stato assegnata un funzione di iniziativa e raccordo politico tra la PESC e politiche comunitarie grazie al doppio cappello di Vice-presidente della Commissione e presidente del Consiglio Affari esteri.
Il secondo punto di distacco si ritrova nella spinosa dicotomia valori-interessi. La ESS puntava a “un’Europa più sicura in un mondo migliore”, di conseguenza più democratico. La EGS mira ad un’Europa più sicura, in un mondo più stabile perché resiliente dinnanzi alle crisi. Sostenere gli stati terzi nei processi di democratizzazione è importante ma non è più una priorità. La EGS non sacrifica i valori che contraddistinguono l’Ue e l’Occidente sull’altare del realismo politico, ma prova a sposare una visione più pragmatica che – non prescindendo dal rispetto e dalla promozione dei diritti umani – evita di adottare un approccio esclusivamente normativo che ostacoli il perseguimento degli interessi comuni.

Sono proprio gli interessi comuni dell’Ue a rappresentare la terza novità. La EGS li esplicita identificandoli nella sicurezza dei propri cittadini, nella loro prosperità e nella capacità di resilienza delle democrazie europee. Si tratta di tre fondamentali interessi interni con chiare implicazioni esterne, a cui va abbinato un interesse esterno, precondizione dei primi, ovvero l’affermazione di un ordine globale pacifico basato sulle regole, le istituzioni, il dialogo multilaterale e la sostenibilità ambientale.

Rispetto all’elenco delle sfide e delle minacce per l’Ue contenuto nella ESS, la EGS preferisce identificare una lista di priorità. La prima – non solo nell’ordine di presentazione – è il rafforzamento della sicurezza attraverso cinque linee di azione (capacità militari, anti-terrorismo, sicurezza informatica, sicurezza energetica e comunicazione strategica) che possano rendere l’Ue un’efficace security provider all’interno come all’esterno dei propri confini. Numerose sono poi le piccole e grandi novità rintracciabili nelle successive priorità enunciate. Tra le tante: una maggior attenzione alla prevenzione dei conflitti (ora possibile grazie alle nuove strutture del Servizio Europeo di Azione Esterna) e ai temi migratori, una più profonda descrizione delle cooperazioni regionali, una più efficiente condivisione delle informazioni, fino ad un’attenuata promozione del regionalismo ispirato al modello europeo.

L’ultimo elemento degna di nota riguarda il ciclo di vita della strategia e la sua funzione quadro. La EGS è stata pensata come un documento vivente soggetto ad aggiornamenti annuali a cui possano prendere parte rappresentanti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento, seguiti, presumibilmente, da una revisione più profonda all’insediamento di un nuovo AR. Ciò dovrebbe permettere di preservare l’attualità degli indirizzi strategici (problema di cui soffrì la ESS) anche in funzione di una più coerente scrittura ed attuazione delle molteplici sub-strategie settoriali, tematiche o regionali, di cui si è dotata e si doterà l’Ue.

Per chi studia le dinamiche politiche dell’Ue i dubbi non sono pochi e riguardano prevalentemente le modalità attuative della Strategia. Solo la pratica, ad esempio, potrà sancire la bontà del dilemmatico equilibrio valori-interessi; rivelare come un’Unione – a cui la definizione di “potenza civile” inizia a stare stretta – riuscirà ad approfondire la cooperazione militare, magari in maniera differenziata, senza trovarsi impantanata nelle tante resistenze nazionali già emerse nei colloqui preparatori della EGS; rassicurare in merito alla disponibilità di risorse economiche oggi tutt’altro che scontate, e necessarie a molte della azioni prospettate; testare il reale sostegno che il documento riuscirà ad assicurare alle iniziative dell’AR senza che vengano schiacciate dalla cooperazione intergovernativa del Consiglio.

Tentare di indovinare il futuro successo della EGS, per ora un libretto di istruzioni equilibrato, completo, pragmatico, ma non eccessivamente dettagliato, svelerebbe poco più che la nostra naturale tendenza al pessimismo o all’ottimismo. Una cosa però è certa: quando ci si sente persi una buona guida non può fare male.

Ricercatore del Centro Studi sul Federalismo e dell'Istituto Affari Internazionali

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