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L’Europa e la Polonia di Szydło

Simone Fissolo
Commento n. 76 - 12 febbraio 2016


La Polonia è uno stato con una storia recente da campione nell’Europa centro-orientale. Uno stato democratico con un Pil che cresce più del 3% annuo. Purtroppo le elezioni del 25 ottobre scorso hanno messo in discussione la fiducia che gli altri Paesi membri dell’Unione europea (Ue) nutrivano nei suoi confronti.

Di seguito si affronteranno alcune delle questioni chiave che riguardano i recenti sviluppi politici della Polonia. Dopo una breve contestualizzazione delle problematiche che hanno portato a un primo scontro con le istituzioni europee, sarà interessante prestare attenzione agli sviluppi dello scenario internazionale. Infine, non mancherà una conclusione di impronta federalista con l’auspicio a un maggior dialogo.

È doveroso ricordare che sono passati solo dodici anni dall’entrata del paese nell’Ue. Il cambiamento politico di cui si fa promotrice la Primo Ministro Beata Szydło, con l’ausilio del Presidente Andrzej Duda, la cui elezione fu il risultato inatteso di pochi mesi di una straordinaria campagna elettorale, potrebbe rappresentare una vera sfida per le istituzioni di Bruxelles, poiché di forte ostacolo all’avanzamento del processo di integrazione.

Sono passati poco più di vent’anni dalla fine del mandato del Presidente Lech Wałęsa, cofondatore del sindacato Solidarność, e i cambiamenti affrontati della società sono stati enormi. La Polonia è stata fino ad oggi un successo politico ed economico per l’Europa intera. Il successo politico lo si deve al fatto che dal crollo dell’Unione sovietica lo stato polacco ha fatto propri i valori democratici dell’Europa occidentale. Quello economico, invece, è storia ancor più recente. La Polonia attuale è un Paese in crescita che mantiene debito pubblico e deficit al di sotto dei parametri di Maastricht, cosa assai rara nell’Unione.

La fiducia dei partner europei è venuta meno per colpa della velocità con cui il cambiamento auspicato da Szydło si è concretizzato in una serie di riforme, non menzionate durante la campagna elettorale, che riguardano l’autonomia giudiziaria e la libertà dei media. La prima riforma prevede l’innalzamento ai due terzi della maggioranza necessaria per deliberare l’incostituzionalità di una legge. Misura che accompagnata dalla nomina politica di cinque giudici su quindici del Tribunale costituzionale incide sul grado di autonomia e indipendenza delle decisioni del Tribunale stesso. La riforma dei media, invece, che mette sotto il controllo del governo tv e radio pubbliche, ha portato alle dimissioni per protesta dei dirigenti delle TV e radio pubbliche. Una riforma molto criticata anche dall’opinione pubblica polacca (nel 2015 la Polonia è diciottesima nella classifica dei paesi per libertà di stampa secondo il World Press Freedom Index, davanti a Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti – l’Italia è settantatreesima).

La risposta europea al cambiamento non si è fatta attendere. Lo scontro con l’Ungheria di Viktor Orbán ha insegnato all’Unione a reagire alle derive populiste dei suoi Paesi membri. Nasce così il meccanismo di tutela dello stato di diritto varato dalla Commissione nel marzo 2014, che viene usato per la prima volta nei confronti della Polonia di Szydło. Il meccanismo si basa sull’indiscusso ruolo della Commissione europea di guardiana dei Trattati. La sanzione massima a cui può ricorrere è la revoca del potere di voto in sede europea. Tuttavia prima di tale decisione la Commissione deve inviare un’opinione al Governo polacco, seguita da una raccomandazione se resasi necessaria. Al momento il vice-presidente della Commissione Frans Timmermans ha indirizzato alla Polona due richieste di chiarimento concernenti le due riforme sopra citate.
La situazione fin qui descritta permette di affrontare la questione, forse la più interessante, del posizionamento della nuova Polonia nello scenario internazionale. L’ambasciatore tedesco in Polonia, Rolf Nikel, non ha dubbi nell’affermare che la Polonia ha bisogno dell’Europa, così come l’Europa ha bisogno della Polonia. Ma come cambia questa Europa con la nomina di Szydło e quale sarà il ruolo della Polonia in Europa?

La Germania, da un lato, si è avvicinata con cautela alla Polonia dopo la sua indipendenza rispettandone la transizione. Con Donald Tusk (primo ministro dal 2007 al 2014, oggi presidente del Consiglio europeo), grande amico della Cancelliere Angela Merkel, i due paesi hanno vissuto un periodo d’oro. La battaglia per il trattato di associazione con l’Ucraina è forse l’apice di questa intesa. Anche l’economia è stata finora dalla loro parte. La Germania è il principale partner commerciale della Polonia e quest’ultima supera la Russia per commercio con la Germania. Ma quale sarà l’evoluzione di questo rapporto? Le fonti ufficiali faticano a fornire una risposta a questa domanda.

La Russia di Putin, dall’altro lato, fa ancora paura. Il rapporto tra i due Paesi non è stato dei migliori ultimamente, ma il recente incontro segreto tra il leader di Diritto e Giustizia, Jarosław Kaczynski, e Orbán fa parlare di un asse tra i paesi illiberali dell’Unione che potrebbero favorire le mosse di Putin.

A sbrogliare il gomitolo ci dovrebbe pensare il Consiglio d’Europa. Infatti è ad esso che si è rivolto il Governo polacco, su invito della Commissione, per valutare le sue recenti riforme. Il Consiglio d’Europa, che dal canto suo potrebbe giocare un ruolo anche nelle relazioni tra l’Ue e la Russia dopo le tensioni in Ucraina, non è però l’istituzione adatta per garantire la democrazia all’interno dell’Unione. Gli sviluppi interni alla Federazione russa (membro dal 1996) ne sono una indiretta dimostrazione. La difesa di alcuni valori non può e non deve venire meno di fronte alle sfide della sicurezza internazionale. La Commissione è, dunque, l’unico attore in grado di portare a termine una negoziazione con la Polonia che non preveda passi indietro nel processo di integrazione europea. Ma anche gli altri Stati membri non potranno limitarsi a stare alla finestra.

*  Presidente della Gioventù Federalista Europea

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