• Home
  • Pubblicazioni
  • Commenti

Dopo i Kirchner: le elezioni argentine, il regionalismo latinoamericano e l'Unione Europea

Giovanni Finizio
Commento n. 71 - 21 dicembre 2015
 

Il 22 novembre scorso Mauricio Macri, già sindaco di Buenos Aires, ha vinto le elezioni diventando il nuovo presidente dell’Argentina e interrompendo il lungo periodo di governo “Kirchnerista” iniziato nel 2003 con la presidenza di Nestor Kirchner e proseguito con i due mandati di sua moglie Cristina. Sebbene le nuove linee di politica estera del paese non siano state ancora presentate in modo organico e ufficiale e qualsiasi riflessione definitiva su di esse sia perciò prematura, le posizioni fin qui assunte da Macri, dal suo entourage e da alcuni ministri del nuovo governo lasciano presagire un cambio di rotta rispetto all’impostazione kirchnerista, con ripercussioni sul ruolo del paese nei processi di integrazione regionale in America Latina.

Negli anni del “Kirchnerismo” la politica estera argentina si è caratterizzata, seppur in modo non sempre lineare, per alcuni elementi di fondo: 1) sostegno al latinamericanismo, al rafforzamento dell’integrazione nel quadro del Mercosur e alla costruzione di nuovi spazi di concertazione economica e politica a livello regionale (come l’Unione delle Nazioni Sudamericane - UNASUR, e la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi - CELAC); 2) autonomia del paese e della regione, da un lato dal controllo delle istituzioni finanziarie internazionali, FMI in particolare, dall’altro dagli Stati Uniti, e contestuale recupero di sovranità nazionale in termini politici, economici, energetici.

Il movimento di Macri, per porre fine all'emarginazione internazionale a cui la politica estera dei Kirchner, a suo giudizio, avrebbe condannato il paese, propone ora di riconferire priorità alle relazioni con Washington, riavvicinare il paese alle istituzioni finanziarie internazionali e aprire l'Argentina agli investimenti stranieri e alle relazioni commerciali bilaterali con gli USA e gli altri attori rilevanti del sistema economico internazionale. In questo contesto si inserisce l’interesse di Macri per l’Alleanza del Pacifico, creata nel 2012 da Cile, Colombia, Messico e Perù (tutti paesi legati a Washington da accordi commerciali bilaterali), finalizzata alla creazione di una zona di libero scambio e considerata da diversi partiti di governo della regione come uno strumento degli USA per indebolire le organizzazioni regionali esistenti e promuovere le proprie priorità politiche e commerciali in Sudamerica.

Queste proposte sembrano richiamare alcuni orientamenti delle presidenze di Carlos Menem negli anni ‘90. Da un lato, Menem fu protagonista (insieme ai presidenti di Brasile, Uruguay e Paraguay) della nascita del Mercosur nel 1991, organizzazione finalizzata alla costruzione di un mercato comune simile a quello europeo e originariamente ispirata ai principi neoliberisti del Washington consensus; dall’altro, egli fu portato dalla ricerca di uno stretto legame con gli USA a sostenerne il progetto di Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), funzionale ad un disegno di ordine mondiale impostato su regioni deboli tenute insieme da relazioni commerciali, ampie zone di libero scambio dipendenti da Washington attraverso cui essa potesse disseminare i propri valori e interessi. Proponendo all’Argentina di aderire al progetto, gli USA avrebbero potuto destabilizzare il Mercosur, impedendone l’approfondimento in termini di integrazione economica, sociale e politica, e diluendolo gradualmente in una grande area di libero scambio interamericana.

Senza dubbio all’interno dell’eterogenea coalizione Cambiemos a sostegno di Macri – composta dal suo movimento Propuesta Republicana, da Union Civica Radical e Coalicion Civica – convivono orientamenti diversi in tema di politica estera e di sviluppo economico, che potrebbero in parte modificare le linee fin qui presentate. Esiste tuttavia la possibilità che come negli anni ‘90 l’Argentina imbocchi una strada bilateralista, neoliberista, orientata verso Washington e perciò problematica per il futuro dell’integrazione regionale in America Latina, da sempre concepita come strumento di autonomia dal potere statunitense.

All’epoca di Menem, l’UE contribuì a contrastare le sirene di Washington attraverso la proposta di rafforzate le relazioni interregionali blocco a blocco con il Mercosur, piuttosto che le relazioni bilaterali con i suoi stati membri, al fine di sostenere il processo di integrazione nella regione. L’Accordo quadro UE-Mercosur del 1995, a differenza degli accordi bilaterali promossi dagli USA, conteneva una chiara dimensione politica e manifestava la volontà di rafforzare l’identità e le istituzioni del Mercosur impedendone la dissoluzione nel quadro del progetto statunitense. Tale approccio si basava su una chiara preferenza per un regionalismo approfondito che andasse oltre il libero commercio e sulla consapevolezza che le relazioni bilaterali fossero tendenzialmente disfunzionali rispetto all’avanzamento dell’integrazione regionale, in America Latina come altrove.

Anche oggi l’appoggio dell’UE in questa direzione può essere importante. La conclusione dell’accordo di associazione UE-Mercosur, i cui negoziati sono da anni in stallo, contribuirebbe ad esempio a contrastare derive bilateraliste in seno al Mercosur (dell’Argentina, ma anche di un Brasile in ascesa), rafforzandolo. Anche se Macri sembra sostenere l’Accordo di associazione, la sua strategia basata sulla centralità delle esportazioni nel settore agricolo è suscettibile di porre difficoltà ulteriori alla conclusione dell’accordo, dato che esso è proprio il settore in cui l’UE è da sempre meno disposta ad avanzare concessioni. Accanto agli interessi economici immediati, per l’UE si tratta però di mettere sul piatto della bilancia anche considerazioni complesse di lungo periodo, potenzialmente molto significative per la sua identità e per il suo ruolo internazionale. Il regionalismo è infatti strumento di pace, stabilità e sviluppo, e la sua promozione – da sempre specialità dell’Unione – le ha permesso in passato di proporre alternative plausibili e più democratiche al modello di ordine economico e politico internazionale proposto da Washington, più coerenti con le proprie caratteristiche, i propri interessi e i propri valori in buona parte comuni all’identità politica latinoamericana.

Complice la crisi europea che ha reso l’UE e i suoi stati membri molto più “pragmatici” (o miopi), anche nella politica estera europea il bilateralismo ha però acquistato favore e il regionalismo ha perso la centralità del passato. Il processo di elaborazione di una nuova EU Global Strategy, che dovrebbe concludersi entro giugno 2016, è una buona occasione per non assecondare oltre tali tendenze ma anzi rilanciare la promozione del regionalismo come priorità dell’Unione, in America Latina e altrove.

Scarica pdf