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Condividere la sovranità o darla vinta al populismo nazionalista

Roberto Castaldi
Commento n. 69 - 10 dicembre 2015
 

Al primo turno delle elezioni amministrative in Francia il Fronte Nazionale di Marine Le Pen è risultato il primo partito. Probabilmente ciò non le sarà sufficiente a vincere le elezioni, perché al secondo turno è possibile che in molte regioni vi sarà una convergenza su altri candidati da parte di molti elettori assolutamente contrari al Fronte Nazionale. Si tratta di un risultato atteso, sebbene dopo gli attacchi terroristici a Parigi i sondaggi mostrassero un certo apprezzamento dei cittadini per la risposta del Presidente socialista Hollande.

La risposta di Hollande è stata però in difesa e di destra: una risposta militare attraverso l’intensificazione dei bombardamenti in Siria, una risposta interna con lo stato di emergenza, e con la parziale sospensione dello spazio di Schengen. Ma non ha offerto nessuna strategia di medio periodo, nessuna visione di prospettiva in cui i francesi potessero riconoscersi e che desse loro una nuova speranza – e questa è una delle ragioni che ha indotto l’Italia a non seguirlo. Se l’unica risposta possibile sono politiche di destra, tanto vale affidarsi alla destra vera, piuttosto che alla sinistra.

Se a una società non si offre un progetto costruttivo intorno al quale mobilitare e coagulare le energie positive, rimane solo la paura. E con essa il riflesso alla chiusura, all’illusione che nel mondo globale si possano sigillare le frontiere, alla ricerca del capro espiatorio – una volta l’ebreo, oggi il musulmano. La Repubblica di Weimar era il più democratico tra gli Stati europei dell’epoca, ma fu travolta dal nazismo. Dinamiche sociali assai simili sono oggi all’opera in un’Europa impaurita dalla crisi economica, dal terrorismo e dall’instabilità ai suoi confini.

Per le forze democratiche – dai moderati ai progressisti – il nodo da sciogliere è dunque il progetto in grado di rispondere a queste paure con una visione di speranza realistica, smettendo di imbellettare una realtà che i cittadini giustamente rifiutano, considerandola inadeguata, e foriera di un declino inevitabile e irreversibile. La risposta è una sola: l’unione politica dell’Europa.

La crisi economica ha finalmente prodotto la consapevolezza che l’unione monetaria può funzionare solo se accompagnata dall’unione bancaria, economica, fiscale e politica. Gli attacchi terroristici hanno messo in evidenza una volta di più la necessità di una vera integrazione sul piano dell’intelligence, mentre l’emergenza rifugiati quella di una politica d’asilo unica e di un controllo europeo delle frontiere esterne. L’annessione della Crimea da parte della Russia, la guerra in Ucraina, l’insediarsi di Daesh nel Medio Oriente e tutti gli altri focolai in quell’area e in Nord Africa mostrano l’assoluta impotenza dei 28 Stati europei divisi. Insieme hanno la seconda spesa militare del mondo, ma essendo divisi non hanno capacità militari significative. Serve una politica estera, di sicurezza e di difesa europea unica. Esiste anche lo strumento giuridico per raggiungere rapidamente tali obiettivi: la cooperazione strutturata permanente tra un’avanguardia di Stati disponibili a perseguire questi obiettivi.

Il nodo resta sempre quello di accettare una vera condivisione di sovranità. L’hanno indicato molto bene in diversi interventi recenti sia il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, alla Sorbona di Parigi, sia la Presidente della Camera Laura Boldrini, impegnata in questi giorni a Bruxelles nel sostenere una maggiore integrazione sulla base dell’Appello cui hanno aderito i Presidenti di nove Parlamenti dell’Unione Europea. Condividere sovranità significa in realtà per i cittadini recuperare una sovranità che a livello nazionale è solo fittizia e assolutamente inadeguata ad affrontare le sfide. E significa per la classe politica ridare fiducia e speranza ai cittadini e arginare le spinte populiste che si manifestano in molti Paesi europei.

La sfida riguarda l’Europa, ma ha in Francia il suo terreno principale. Il Presidente Hollande ha da un lato una responsabilità storica, e dall’altra un’occasione unica di recuperare alla Francia una leadership europea da tempo perduta. Se prenderà l’iniziativa di proporre una Cooperazione strutturata permanente per creare una difesa, una intelligence e una guardia di frontiera europea troverà certamente l’appoggio delle istituzioni europee – basti pensare ai numerosi interventi del Presidente Juncker su questi temi – ed i principali Stati membri dell’Eurozona, a partire dalla Germania e dall’Italia. 

Una simile iniziativa permetterebbe all’Europa di dotarsi degli strumenti necessari ad affrontare le grandi emergenze della sicurezza, dei rifugiati e della stabilizzazione dell’area di vicinato. Segnerebbe l’avvio del processo verso l’unione politica, e darebbe anche l’impulso per una nuova – e forse definitiva – riforma dei Trattati alla fine della legislatura europea, per dotare l’UE o almeno l’Eurozona anche di un governo federale dell’economia, con un bilancio fondato su risorse proprie e in grado di sorreggere e progressivamente inglobare la struttura militare creata attraverso la cooperazione strutturata permanente. 

Al contempo questa iniziativa offrirebbe una vera alternativa ai francesi. Nel mondo globale la sicurezza va cercata attraverso l’Europa, e non con la chiusura nazionale come propone il Fronte Nazionale. Per Hollande vi è dunque una straordinaria convergenza di interesse e dovere. Una simile iniziativa non solo renderebbe la Francia e l’Europa più sicure, ma gli permetterebbe probabilmente di arrivare al ballottaggio e forse di vincere le prossime elezioni presidenziali. Inseguire le destre sul loro terreno non renderà la Francia più sicura e rischia di portarla su una linea anti-europea che impedirebbe a lei e all’Europa di dotarsi degli strumenti necessari a far fronte alla crisi della sicurezza.

 

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