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La richiesta della Francia all'UE: simbolica e di compromesso

Lorenzo Vai
Commento n. 66 - 24 novembre 2015

 

La straordinaria ferocia degli attacchi terroristici che hanno colpito Parigi lo scorso 13 novembre, causando circa 130 morti e più di 400 feriti, ha convinto il presidente francese François Hollande ad invocare la clausola di difesa collettiva prevista dall’articolo 42 paragrafo 7 del Trattato sull’Unione europea (Ue). È la prima volta che ciò avviene nella storia dell’Ue. La clausola è una delle innumerevoli innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona, copiate dalla sfortunata Costituzione europea. In vista dell’imminente dissoluzione dell’Unione europea occidentale (Ueo) – l’organizzazione regionale di sicurezza nata nel 1948 e scioltasi nel 2011 – la Convenzione redattrice del trattato costituzionale aveva deciso di inserire un articolo che preservasse dall’estinzione la ratio fondante dell’Ueo, trasmettendola all’Ue. L’articolo è poi ricomparso all’interno del Titolo V del Trattato di Lisbona, in merito alle disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc).

Alla richiesta di aiuto francese ha risposto prontamente e positivamente l’Alto rappresentante Federica Mogherini, sostenuta dal consenso unanime dei ministri europei della difesa riuniti nel Consiglio. Cosa dobbiamo aspettarci da questa decisione? Quali potrebbero essere le sue conseguenze istituzionali e politiche? E quali erano le altre opzioni che la Francia avrebbe potuto percorrere per ricevere sostegno militare? Iniziamo dalla fine.

Subito dopo gli attacchi, in molti hanno ipotizzato che Parigi invocasse l’assistenza prevista dall’articolo 5 del trattato Nato, come fecero gli Stati Uniti a seguito degli attacchi avvenuti l’11 settembre 2001. Si tratta di un precedente importante nel quale l’Alleanza atlantica era stata attivata (prima e unica volta) nei confronti di un’organizzazione terroristica, com’era ai tempi al-Qaida e come oggi è considerato l’autoproclamatosi stato islamico (Isis). Come illustrato da Natalino Ronzitti su AffarInternazionali, per la Francia la possibilità di ricorrere all’art. 5 sarebbe stata legittima ai sensi del diritto internazionale. Più difficile sarebbe apparsa invece la percorribilità politica di tale scelta. Un coinvolgimento diretto della Nato in Siria o Iraq avrebbe causato non pochi malumori alla Russia, che molti paesi europei, tra cui la Francia, vorrebbero alleata nella lotta al terrorismo islamista. Operare all’interno dell’Alleanza atlantica significa altresì accettare il preminente ruolo degli Usa nella catena di comando delle operazioni, e le possibili tensioni con partner dalle differenti visioni geo-politiche come la Turchia. La soluzione Nato rappresentava perciò la scelta giuridicamente più semplice ma politicamente più divisiva.

La seconda alternativa a disposizione del governo francese era rappresentata dalla clausola di solidarietà dell’Ue, contenuta nell’articolo 222 del Trattato sul funzionamento dell’Ue. La clausola prevede esplicitamente che in caso di attacco terroristico ad uno Stato membro, l’Unione ed i suoi paesi mobilitino “tutti gli strumenti (…) inclusi i mezzi militari” atti a prevenire futuri attacchi, proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione civile. Ennesima eredità del progetto di Costituzione per l’Europa, tale clausola aveva già ispirato la ”Dichiarazione sulla lotta al terrorismo” licenziata dal Consiglio europeo nel 2004 a seguito degli attentati terroristici di Madrid. Configurandosi come uno strumento di risposta più ampio ed inclusivo rispetto ad un obbligo di difesa collettiva, l’attivazione della clausola di solidarietà contempla il coinvolgimento di diversi attori istituzionali europei – il Consiglio, la Commissione, il Seae, le agenzie interessate – secondo precise modalità definite da una decisione del Consiglio. Si trattava di un’opzione che avrebbe necessitato di tempi decisionali più lunghi, procedure più complesse, e l’attivazione di un coordinamento sovranazionale europeo con rilevanti implicazioni politiche e finanziarie. Inoltre, il ricorso all’art. 222 non comporta obblighi per gli Stati membri in seno a possibili azioni militari esterne, che rimangono materia della Psdc (e delle sue procedure decisionali intergovernative). Per Hollande appellarsi alla clausola di solidarietà sarebbe stata una scelta sicuramente appropriata ma più difficile da attuare sul fronte interno europeo, almeno in tempi brevi. Non è tuttavia escluso che la Francia la invochi nelle prossime settimane.

La terza opzione, il ricorso alla difesa collettiva prevista dal Trattato di Lisbona, si è rivelata quella prescelta dalla Francia. L’art. 42.7, che richiama esplicitamente l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (il quale sancisce il “diritto naturale di autotutela individuale o collettiva”), prevede che nel caso uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio “gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli assistenza con tutti i mezzi in loro possesso” ma nel rispetto delle singole politica nazionali in materia di difesa (si pensi ai paesi neutrali come Austria e Finlandia o all’opting out della Danimarca dalla Psdc) e degli impegni assunti in ambito Nato (che rimane per alcuni Stati membri, Regno Unito in primis, la cornice istituzionale preferenziale per l’attuazione di una difesa congiunta). Ci troviamo davanti ad una richiesta di assistenza militare che lascia agli Stati piena libertà di partecipazione in base alle proprie scelte politiche e capacità militari. Una partecipazione che dovrà essere definita attraverso colloqui bilaterali con la Francia, durante i quali l’Ue – come ha ricordato l’Alto appresentante – potrà assumere tutt’al più un ruolo di coordinamento attraverso le riunioni del Consiglio e le strutture militari del Seae.

La richiesta francese di rivolgersi all’Ue assume così un alto valore simbolico, ma è più che lecito non aspettarsi nessuna missione battente bandiera europea né un consistente avanzamento dell’insufficiente livello di integrazione militare dell’Unione. La scelta di Parigi ha il merito di lanciare un forte messaggio al mondo, evitare ulteriore divisioni politiche ed aprire qualche finestra di opportunità per uno sviluppo, sul campo, del ruolo di coordinamento delle operazioni militari multinazionali svolto dalle istituzioni e dagli organi europei.

In conclusione, la decisione francese appare come una soluzione diplomatica, di sostanziale compromesso tra le indesiderate conseguenze internazionali di un ricorso all’Alleanza atlantica, e le complicate implicazioni politiche a livello europeo che la più “olistica” clausola di solidarietà avrebbe comportato. Una terza via che serve a serrare le file europee di fronte ai media e alla comunità internazionale, un po’ meno di fronte alle necessità di sicurezza dei cittadini europei.


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