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Il Parlamento catalano avvia il processo di indipendenza: qui Barcellona, a voi Madrid

Anna Mastromarino
Commento n. 65 - 18 novembre 2015 

Mentre i parlamentari catalani si affrontano in una sfinente guerra di nervi per giungere a un accordo che permetta l’elezione del presidente della Generalitat, scongiurando lo scioglimento anticipato e l’indizione di nuove elezioni (verosimilmente nel prossimo marzo), con un atto che denota un certo autismo politico, lo scorso 27 ottobre è stata presentata all’Assemblea legislativa della comunità una proposta d’indipendenza unilaterale della Catalogna. Una proposta immediatamente calendarizzata, votata e approvata lo scorso 9 novembre dalla maggioranza assoluta composta dagli eletti di JXsi e CUP.

La dichiarazione del Parlamento catalano rappresenta, a tutti gli effetti, un vulnus inferto al cuore dell’ordinamento costituzionale spagnolo.

Nel proclamare l’apertura di un processo costituente che porterà alla scrittura della futura costituzione catalana, la risoluzione adottata dal Parlamento incarica il Governo di assumere, entro il limite massimo di trenta giorni, le misure necessarie per “obrir aquest procés de desconnexió democràtica, massiva, sostinguda i pacífica amb l’Estat espanyol”. Aggiunge, e il tono si fa minaccioso, che il Parlamento catalano, in quanto depositario della sovranità e titolare del potere costituente per il futuro: non si considererà vincolato ad alcuna decisione assunta dalle istituzioni spagnole, tantomeno a quelle del Tribunale costituzionale (TC); che il processo di “disconnessione” è irreversibile; che il Governo della comunità è diffidato dal dare esecuzione ad altre norme che non siano quelle emesse direttamente dalle istituzioni catalane.

La reazione delle istituzioni centrali alla dichiarazione è stata istantanea. Immediatamente è stato riunito, in seduta straordinaria, il Consiglio dei ministri che, lo stesso 11 novembre, ha presentato ricorso al Tribunale costituzionale sulla base del parere emesso dal Consejo de Estado, che aveva considerato il testo votato il 9 novembre un documento che implica la “vulneración evidente” del nucleo centrale della Costituzione spagnola, presupponendo una “declarada insumisión a las instituciones del Estado” e negando “el orden constitucional vigente en su conjunto”.

Al TC si chiedeva, innanzitutto, di deliberare la sospensione immediata della dichiarazione e di ogni suo effetto. Si chiedeva altresì di intervenire in forza dei poteri assegnati alla Corte dall’art. 92.4 della Ley Orgánica del Tribunal Constitucional, diffidando e paventando la destituzione dall’incarico per coloro che, disobbedendo, una volta eventualmente emessa la sentenza di sospensione, non vi si fossero adeguati.

A distanza di poche ore dal deposito del ricorso, riunito nel plenum, il Tribunale costituzionale, lo stesso 11 novembre, ha dichiarato sospesa la risoluzione adottata il 9 novembre.

È difficile ipotizzare, allo stato attuale, quali saranno le conseguenze cui condurrà la risoluzione adottata dal Parlamento. La decisione del TC sospende l’atto e i suoi effetti giuridici, ma non lo sterilizza dal punto di vista politico.

Si potrebbe cominciare con il dire, ad esempio, che la disconnessione di cui parla la risoluzione ed a cui mirano gli indipendentisti rischia di compiersi più nei confronti della realtà che rispetto al resto della Spagna. Così come si potrebbero stigmatizzare i toni assunti dal leader Mas nel portare avanti la sua crociata indipendentista, che sono ormai quelli usati tradizionalmente dai più smaliziati populismi, laddove si pretende esercitare sul potere un monopolio che invoca a proprio sostegno l’esistenza di un popolo mitico, omogeneo, indifferenziato.

Ma si dovrebbe anche sottolineare il fallimento cui sembrano comunque destinate, nel lungo periodo, le azioni del Governo centrale volte a inibire una volta per tutte le rivendicazioni nazionaliste in Catalogna solo ricorrendo agli istituti giuridici offerti dall’ordinamento. Da tempo in Spagna il dialogo, la diplomazia e il confronto politico hanno ceduto il passo alle fredde dinamiche istituzionali, senza tenere conto che agli eccessi delle passioni, spesso refrattarie alla ragione, risvegliate dal discorso nazionalista (condivisibile o meno), si può rispondere con gli strumenti del diritto solo dopo aver creato le basi per la loro condivisione.

D’altra parte è chiaro a tutti che non è questo il clima politico né per affrontare un referendum sull’indipendenza catalana né per cominciare un serio dibattito circa il futuro della Costituzione spagnola e la sua revisione in senso federale. E allora bisognerà aspettare forse il 20 dicembre perché qualcosa cambi, dal momento che, lo si voglia o no, la questione catalana è già nell’agenda elettorale delle forze che si presenteranno alle elezioni nazionali.

Non tutto è perduto, dunque, anche se un timore resta e non può essere taciuto. Il fatto che sia andata consolidandosi nella comunità internazionale l’idea che è possibile portare a termine un processo di secessione senza ricorrere all’uso della violenza non significa che la secessione rappresenti ormai un evento del tutto “domato” e che non possano darsi più casi, almeno nel contesto occidentale delle democrazie liberali consolidate, di secessione unilaterale. La secessione, anche se non negoziata, può imporsi per le vie di fatto e attraverso quelle vie può tentare di trovare riconoscimento a livello internazionale.

Che ciò accada deve ancora essere considerato possibile, anche se estremamente difficile. Soprattutto nel caso della Spagna, dove, anche a non voler tener conto del contesto internazionale e regionale (si pensi all’Unione europea) in cui è inserita, pesa quel 47,7% che non è maggioranza assoluta; pesa quella volontà di cambiamento, di cui le forze nazionaliste sono consapevoli, espressa dagli elettori che non si concreta in desiderio di indipendenza tout court; pesano le difficoltà a contare su una politica catalana in grado di affrontare in forma coesa le sfide che la creazione di uno Stato indipendente comporta inevitabilmente.

Insomma, il rischio è che, al di là dei proclami, in assenza di una separazione negoziata dalla Spagna, alla secessione unilaterale della Catalogna manchi l’unico elemento essenziale: l’appoggio del popolo, elemento costitutivo imprescindibile perché il nuovo Stato possa transitare dal mondo delle idee allo stato di fatto ottenendo riconoscimento.

* Professore Associato di Diritto Pubblico Comparato, Università di Torino

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